Snow Power

Snow power : il potere della neve – die Kraft des Schnees
“Der Schnee bereinigt die Landschaft und lässt sie erst wieder neu entstehen“

La neve evoca emozioni, purezza e fragilità.

La neve riesce a coprire il grigiore delle nostre città, rasserena lo spirito, emana serenità e vibrazioni positive, ma soprattutto la sua bellezza è fugace, la coltre che ricopre il nostro paesaggio può svanire presto.

Subito dopo una precipitazione nevosa i rumori che non riescono a trovare una via d’uscita nelle molte cavità e nel labirinto di cristalli vengono assorbiti dalla coltre bianca, poi quando si compatta riflette le onde sonore e il silenzio ovattato svanisce.

La neve riportata dal vento dalle creste e dai dossi modella la superficie e crea figure uniche bizzarre. Non è sempre candida, basta una piccola alterazione meteo e quando si avvicinano nubi con particelle di sabbia del deserto il colore si trasforma in giallognolo e rossastro, creando un’atmosfera quasi marziana.

Così ogni discesa diventa unica, oggi con manto polveroso, domani con quello crostoso, più avanti con quello compattato, dove troviamo se abbiamo fortuna, cristalli scintillanti, scorrevoli e veloci, morbidi e portanti. Basta poco per guastare la discesa, come la scorsa primavera nel canale del Gaishorn a Scaleres: una nuvola vagante non ha permesso al sole di riscaldare il pendio e niente “firn”, il giorno seguente sarebbe stato quello ideale.

L’emozione di disegnare la prima traccia sulla neve immacolata, sia in salita che in discesa rimane per me qualcosa di incomparabile.

Bressanone/Brixen, 09 febbraio 2018

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In montagna mi portò mio padre già in tenera età e mi trasmise la sia passione per le terre alte e del suo appròccio umile e coinvolgente gli sono riconoscente.

I miei primi sci me li regalo la mia madrina all’età di quindici anni, i primi passi li feci su un prato poco lontano da casa, poi sulla montagna di casa e spesso sulle piste di Ladurns raggiunte in treno. Tra i diciotto e ventidue anni ci fù una prima pausa. Dopo aver assolto agli obblighi di leva e ripreso l’attività lavorativa, dedicai il mio tempo libero alla baldoria, all’ impegno politico e ai piaceri della vita umana, ma delle serate trascorse nei bar a discutere e bere mi stufai presto e così riallacciai i contatti con alcuni amici amanti della sciata in neve fresca.

Nel 1976 con l’attrezzatura presa in prestito (due assi di legno con lamine avvitate e pelli di foca legate sotto gli sci con alcuni ganci) segui per la prima volta i miei amici nella valle di Vallaga, in treno fino alla stazione di Mezzaselva e poi a piedi e con sci e pelli fino alla seconda malga. Erano veri inverni con molta neve, allora le malghe erano tutte aperte e ci si poteva fermare per la notte. Dormimmo in una stube e la giornata seguente dovemmo scendere a valle perché il tempo si guastò e continuo a nevicare. Questa impresa mi entusiasmo e convinse a scoprire la montagna d’inverno senza impianti di risalita, immersi nella natura non addomesticata. Mi attrezzai con quello che allora offriva il mercato, il calzolaio modifico i miei scarponi da sci di cuoio appiccicandoci una suoletta Vibram, i miei primi sci erano dei Rossignol con attacco Vinersa, poi Sarnerski, Fischer con attacchi Silvretta, Dynastar, ecc. Anche gli scarponi si evolsero, passai da alcuni modelli dei San Marco di plastica, ai primi Dynafit, per poi arrivare ai giorni d’oggi ad alcuni modelli della Scarpa. Dopo aver utilizzato inizialmente un cordino da valanga che veniva srotolato e trascinato quando attraversavamo zone rischiose, mi attrezzai pure del primo apparecchio di ricerca in valanga, il Pieps rosso con oricolare, che per fortuna non dovetti mai utilizzare per tale scopo. Man mano, dopo alcuni anni il gruppo si restrinse attorno agli irriducibili, molti dopo alcune esperienze passarono ad altre attività sportive. Dopo circa un ventennio il gruppo si sfaldò, impegni familiari, lavorativi ecc. Anche io diventato padre, optai per attività alternative, sci da fondo e slittino in inverno ed escursionismo d’estate. Dopo una pausa della durata di sedici anni ripresi con vigore l’attività scialpinistica, l’attrezzatura era cambiata, più leggera e la schiera dei praticanti era pure aumentata, ma bastava cercare mete meno gettonate per tornare a ripercorrere tracciati inviolati a stretto contatto con la natura.

Quel che era anche cambiato era il clima, sempre meno inverni rigidi, neve solo sopra i 1.400 metri e precipitazioni nevose non più su tutto l’arco alpino ma alternativamente su alcuni tratti delle alpi.

Noi abitando poco lontano dallo spartiacque riuscimmo a barcamenarci tra nord e sud, ma molti altri dovettero mettere in conto trasferte più lunghe.

Questi intervalli nevosi spesso a noi favorevoli hanno riavvicinato alcuni amici, noi meno propensi ad allontanarci da casa più di un centinaio di chilometri rimanemmo un nucleo compatto, inconciliabile pure con il race e poco propenso al freeride ed al estremamente ripido, il mio amico Bruno l’ha definito “Zen” ed io mi riconosco in questo modo di andare in montagna.

 

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E’ da tanto che volevo scrivere due righe sul gruppo con cui ho trascorso gran parte degli ultimi inverni e che quest’anno mi manca:
 
Il gruppo di amici di “Scialpinismo zen”
 
Un gruppo aperto, non focalizzato solo su chi ci sta prossimo nel territorio.
Cosa ci lega: un interesse comune, il piacere fisico nel camminare e muoversi, di scendere sulla neve fresca e scegliere linee non banali, quel pizzico d’azzardo, lo scambio di opinioni, la vivacità che ci mantiene giovani e la solidarietà.
 
D’inverno l’affiatamento e lo spirito di gruppo è ancora più importante: si inizia con la scelta del tracciato, sia di quello di salita che di discesa, valutando tutti i fattori oggettivi e anche quelli di chi partecipa, la preparazione fisica, lo standard di sicurezza, l’attrezzatura, lo spirito di gruppo e l’esigenza di poter condividere le emozioni provate.
 
Spirito di gruppo che supera anche le differenti personalità di chi si mette in gioco e anche le barriere etniche. Barriere, che difficilmente si superano nel quotidiano vivere e nell’indifferenza generale.
 
Spesso ho pensato che l’unico spazio libero, non contaminato da una vigile, pacifica e disinteressata convivenza, rimaneva quello dell’andare in montagna insieme.
 
Ecco tutto questo, con il confinamento è venuto a mancare, il nostro mondo cui eravamo abituati si è chiuso repentivamente, la polvere di questi giorni oltre Brennero, rimarrà a lungo un sogno e gli amici trentini con la loro allegria un ricordo.
 
Nel piccolo, ora è importante non disperdere quel che ha fruttato negli anni passati.
 
Le attività sportive non hanno solo il compito di essere finalizzate allo sviluppo fisico e psichico delle persone ma anche a quello sociale.
 
Negli ultimi anni l’interesse reciproco di frequentarsi, di conoscerci , almeno io, l’ho notato solo nelle attività sportive. A livello locale, in quelle culturali e anche quelle cosidette “alternative” vige una separazione cementata da anni. Non ho problemi di rapportarmi con questi gruppi di persone, ma tutto sfugge da quel che mi ero immaginato negli anni della mia gioventù, in cui credevo ad un superamento delle gabbie etniche e non intendevo un calderone, ma un vivace e continuo scambio di idee.
 
L’ostacolo non sta nella scarsa conoscenza della seconda lingua, ma nello scarso interesse per chi ti sta accanto: “l’audacia della curiosità” va incoraggiata e spero che rimanga viva e vegeta.
 
La curiosità è trasversale, orizzontale, varca confini, si spinge oltre ciò che si conosce e già si comprende. La curiosità è esploratrice, viaggia e si muove verso direzioni inesplorate.
 
Bressanone, 23.03.2021

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In questo momento storico così delicato e difficile nel quale abbiamo dovuto affrontare varie emergenze, dopo quella pandemica, ora quella della guerra in Ucraina, dobbiamo ritrovare le forze per affrontare la sofferenza da stanchezza emotiva.

La passione per la montagna, gli amici con cui condividiamo gli stessi interessi, penso che ci aiutino a favorire la resilienza.

Non è smettendo di vivere, divertirsi o viaggiare che si superi incertezza, paura e sconforto.

Ognuno di noi ha la sua sensibilità e si sintonizza in maniera personale con quello che accade agli altri.

Proprio in queste situazioni drammatiche è importante provare un po’ di gioia e sollievo e penso che non sia un gesto troppo egoistico.

Non sono ipocrita, la mia passione per lo sport non esclude il mio sostegno alla lotta del popolo ucraino contro l’invasione.

Avere un blog ed aggiornarlo equivale anche a creare un momento di riflessione e di confronto e forse di aiuto anche in questi momenti difficili.

Cosa faccio di diverso, oltre ad essere d’aiuto per chi coltiva la stessa passione, aggiungendo poche indicazioni sommarie, il file gpx con il tracciato seguito sia in salita che discesa, qualche fotografia e brevi video sulle discese invernali.

Aggiungo qualcosa di personale, qualche cenno storico o l’indicazione di una locanda dove mi sono trovato bene per mangiare un piatto tipico (“solo il 15% degli scialpinisti si ferma a pranzo o solamente a bere dopo la gita” così il resoconto della gestrice della locanda Bergmeisteralm a Zösen/Lappago). Non sono quello del “mordi e fuggi” è giusto che con noi ci guadagnino anche i locali.

Esterno la mia gioia durante le discese invernali che sono “la ciliegina sulla torta” meglio detto in tedesco “Die Abfahrt ist das i- Tüpfelchen”, mostrando qualche breve spezzone di filmati fatti con la gopro.

Mostro che in tutte le stagioni ci sono un’infinità di luoghi poco frequentati, lontano dai pochi hotspot dolomitici più gettonati.

Perciò sta a chi mi segue rispettare la montagna specialmente in luoghi meno frequentati, privilegiando per la salita nei tratti boschivi tracce già esistenti, sentieri e strade forestali, nel rispetto della fauna selvatica ed evitare schiamazzi, rumori molesti e musica ad alto volume. Non calpestare i prati dedicati al pascolo, tenere i cani al guinzaglio o a debita vicinanza e portare i propri rifiuti a valle. Rispettare le tradizioni e la cultura del territorio che si frequenta, le diversità culturali, il pluralismo linguistico e il riconoscimento dell’importanza e del valore del patrimonio toponomastico dell’arco alpino.

Aggiungo se possibile servirsi dei mezzi pubblici per raggiungere le proprie mete (d’estate lo faccio spesso) d’inverno cerco di riempire le auto, di fare gruppo, sia per dividere le spese che per motivi ambientali.

25.03.2022

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I gruppi si formano e si sfaldano e ne nascono di altri.

dare, ricevere, ricambiare

Quando tra le persone esiste una relazione di vicinanza, similitudine ed interazione si forma un gruppo. Ogni cambiamento nel gruppo influisce in modo determinante e significativo sui membri del gruppo e sulle loro interazioni e cosi è stato nel periodo della pandemia, ciò ha creato una sensazione di smarrimento, per alcuni di loro di distacco e di radicalizzazione contro  le autorità ree di aver soppresso le loro libertà sull’altare della cosidetta “dittatura sanitaria”.

Per altri invece è stato un periodo di adattamento facendo affiorare nuove consapevolezze sull’importanza di mantenere viva la relazione tra le persone.

Così è stato in parte per il mio precedente gruppo di amici, ma se ne sono creati di altri con cui ora condivido la mia passione, un peccato ma rispetto ogni scelta del singolo.

13.06.2023.

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Nelle narrazioni delle gite evito volutamente di descrivere gli eventuali pericoli di distacchi di valanghe od altro, poiché ogni escursionista deve essere in grado di valutare personalmente gli eventuali pericoli, non fidarsi ad esempio delle tracce già presenti, poiché le condizioni variano di giorno in giorno o anche nella stessa giornata.

Non mi assumo quindi alcuna responsabilità sulla scelta del tracciato, sulle condizioni di innevamento, sul pericolo di valanghe e su altri fattori esterni, per questo è importante consulatare i bollettini valanghe e saper valutare sul campo la situazione.

28.03.2024